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C'era una tantum il Senato di Roma, in realtà c'era tante volte, ma questa era speciale, la Res publica era in pericolo, aria di golpe, e c'era uno che non si faceva mai i fatti suoi, e un altro che voleva farsi i fatti dell'altro ma non poteva.
Il Senato era pieno come un uovo pieno. Gente in voga pogava in toga mangiando un Togo. Cicerone prese la parola, la fece sparire nella tasca del tailleur e cominciò la sua orazione contro Catilina, accusato di attentare alla Repubblica, alla Nazione e al Corriere della Sera.
"Quo usque tandem abutere patientia nostra, Catilina?" esclamò con foga ma fu subito interrotto dall'infuriato Catilina, che, rosso in viso, si alzò dalla seggiola, e gonfiando il petto in un moto di smisurata superbia urlò: "Eh?" "Non capisci il bergamasco?!" esclamò Cicerone stupito. "Quo usque tandem abutere patientia nostra, Catilina?" ripetè lentamente, e poi tradusse: "Per quanto tempo ancora abuserai del nostro tandem, Catilina?" perché Catilina aveva questo vizio di fregare i bicicli dei senatori, la Graziella di Cicerone in particolare, perché quello gli stava antipatico come oratore, come uomo, come politico e pure un po' come soprammobile.
"Questo matrimonio non s'ha da fare!" intervenne Caio Giulio Cesare sbattendo un pugno sulla coccia dell'uomo canuto seduto davanti a lui. "Quale matrimonio?" chiesero in coro i Senatori, e anche i barbari a duemila chilometri di distanza. "Quello tra te medesimo e Catilina" rispose Cesare guardano Cicerone nelle cornee. "A Scesare! Catilina è n'omo!" rispose con calma Cicerone nel Latino dei Padri. "Nomina sunt consequentia rerum" commentò con sussiego Cesare, e aggiunse "Che castrum ho detto?!"
"I nomi sono conseguenza delle cose" spiegò un valletto, e Cesare, riconoscente, lo sventrò con il gladio. "Nun me devi aiuta' quanno sce guardeno!" mormorò astioso Caio Giulio in Latino classico.
"Fallo! Fallo!" urlò Catone dalla curva sud del Senato "L'ha aperto in due vicino alla porta! E' rigore, arbiter! Fischia!" Un senatore si alzò dal suo seggio. "So' arbiter elegantiae, io, arbitro dell'eleganza, mica der carcio" disse l'uomo, e sottolineò il concetto con un rutto. "Sei un venduto, Petronio!" strillò Catone, e gli appiccicò un'etichetta parental advisory sulla fronte, perché era un Censore.
Petronio, punto nel vivo, perse metà dei punti-ferita, perché aveva una bassissima resistenza ai danni perforanti.
La discussione si accese, ma si spense subito perché aveva le pile scariche. Cicerone riprese a orare la sua orazione. "O Senatori" disse, indicando il soffitto con una vertebra "Catilina, nato da nobile stirpe di sorci, ha la faccia tosta di venire qui in Senato, quando trama nell'ombra per rovesciare la nostra Res publica!" Catilina l'interruppe strillando: "Non è vero! Io non tramo nell'ombra! Cioè, sì... ma prima, quando non ci avevo il contratto con l'Enel! Ma ora ce l'ho! Tramo nella luce, adesso!" e fece una pernacchia con l'ascella. Cicerone, per nulla scosso dalla barbara interruzione, gli spaccò una panca sopra la crapa. E la capra sopra la panca sbattè contro la crapa. E la crapa sotto la panca picchiò contro la capra sopra la panca, che non campava più, nonostante fosse sopra, perché Romeo l'aveva presa per
Giulietta e l'aveva avvelenata.
"Basta! Per Diana!" disse Pompeo, e continuò: "Non si può discutere così! La tensione è troppo forte, o Senatori! Si taglia con il coltello!" E a Cesare, a sentire la parola coltello, venne un attacco d'asma.
"Siete tutti dei serpenti!" urlò Catilina. E a Cleopatra, a sentire la parola serpenti, venne un attacco epilettico. "Se qualcuno dice eruzione gli spacco la faccia!" mormorò Plinio il Vecchio, e svenne.
Approfittando della confusione, Catilina tagliò la corda, e il grosso lampadario che reggeva cascò per terra scamazzando al suolo una cinquantina abbondante di senatori. "Attentato! Aiuto!" urlò al colmo della furia Cicerone, e subito entrarono in aula i centurioni della brigata Noantri. Catilina saltò giù dalla finestra e si diede alla fuga disordinata: colorava fuori dai margini, faceva le orecchiette sui fogli, scriveva a zampe di gallina, un disastro. "Non fare le orecchiette!" ordinò mesto il maestro bevendo un mosto misto a pasta al pesto, ma Catilina era già in pista e sporco di farina era corso via.
Consumate le orecchiette ma ancora affamato, Catilina si rifugiò nell'hostaria Da Livio cucina romana de Roma. "Oste!" chiamò una volta seduto su una sedia a forma di sedia. "Son qua!" rispose Livio, sopraggiungendo di gran carriera. "Qual è il piatto del giorno?" chiese Catilina. "Ab Urbe condìta con sale, olio e peperoncino di Soveratum" rispose Livio. "Portamelo" disse Catilina leccando i baffi di Romeo, er mejo gatto der Colosseo, e fu presto servito. Ma prima della seconda forchettata, la terza lettera della quarta di copertina corse dietro le quinte e rimessasi in sesto chiamò la settima prefettura.
Un drappello di soldati guidati da Cicerone sorprese Catilina e lo chiuse in un angolo. "Malnato traditore!" urlò Cicerone. "Scemo nasone!" rispose Catilina, e rincarò la dose dandogli un tocco di fumo.
"Questa dose non basta!" commentò teso Cicerone, e rincarò i prezzi dandogli notizia di una nuova inflazione. "No! Questo è troppo!" disse Catilina, e sfondato il muro a capocciate si dileguò nella campagna.
E qui incontrò un uomo steso sotto un albero.
"Chi sei?" chiese Catilina tirando il fiato. "Orazio" rispose l'uomo tirando lo sciacquone. "Perché?" chiese Catilina tirando un calcio.
"Perché se mi chiamo così mi giro" rispose l'uomo tirando la coca. "E che ci fai qui?" chiese Catilina tirando a campare. "Muoio. Tutti noi moriamo ogni giorno. Ma non moriamo tutti interi quando moriamo.
Comunque moriamo. Ho già detto che moriamo?" disse l'uomo tirando la carretta. "Non l'hai detto" rispose Catilina, e con delicatezza gli chiavò una vanga fortissimo sopra la crapa.
"Assassino!" urlò Cicerone, che da lontano aveva visto tutto, ma da molto lontano, da cinquanta chilometri, perché Cicerone ci vedeva bene, e correva veloce, infatti raggiunse Catilina in un batter d'occhio, ma fu subito arrestato per sfruttamento della prostituzione. "Mi fa battere!" disse l'occhio ai centurioni accorsi sul posto. Cicerone si divincolò dalla loro stretta e puntò il dito contro Catilina. "E' lui che dovete arrestare!" urlò, scendendo dalla jeep. Catilina lo squadrò con il compasso. "Non hai alcuna prova per dimostrare che attento alla Res Publica!" disse ridendo. Era vero, ma in quel momento a Cicerone caddero gli occhi sullo zaino di Catilina. Catilina li raccolse e glieli restituì. "Grazie" disse Cicerone rimettendoli nelle orbite, e comandò: "Frugate nel suo zaino, centurioni!". I soldati ubbidirono solerti e tirarono fuori dalla sacca una toga bianca, una tavoletta incerata, uno stilo, trenta sesterzi, una Stilo e venti sterzi, perché Catilina, oltre che di biciclette, era pure ladro d'auto. Per ultima uscì la lista della cose da prendere, su cui un centurione lesse: pane, vino, olive, uva e Roma.
"Aaa-ah!" disse Cicerone. "Oh oh" disse Catilina. "Uuuh uuuh" disse un gufo appollaiato su quel ramo del lago di Como. "Eh eh" dissero i centurioni, e trascinarono via Catilina. Cicerone soddisfatto rimontò sulla jeep e crepò in un crepaccio.

ENIF


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